Il 9 marzo, a un mese di distanza dal lancio – in sordina, e ora sappiamo, non solo a causa della pandemia – dello yuan digitale durante le Olimpiadi di Pechino, e in uno dei momenti più critici della guerra in Ucraina, il presidente statunitense Joe Biden ha firmato un atteso e complesso Executive Order on Ensuring the Responsible Development of Digital Assets sugli asset digitali, intesi in senso ampio (e dunque, incluse le criptovalute, le stablecoin, le blockchain e in generale le DLT). È un provvedimento atipico, per i suoi contenuti, e molto complesso, che segue – con ritardo – il cyber executive order del maggio 2021: pone le premesse di un percorso che acceleri l’adozione di un dollaro digitale (Central Bank Digital Currency – CBDC). È la marcatura stretta alla ripartenza cinese che ci si attendeva, anche su Formiche.net, e che lancia gli Stati Uniti verso un obiettivo preciso, nel solco di un approccio regolatorio light (self-regulation), contrapposto sinora a quello europeo (co-regulation) e ovviamente, a quello cinese (command and control).
Seguendo un whole of government approach, il provvedimento conferisce mandato al Dipartimento del Tesoro e a numerose agenzie federali di: elaborare raccomandazioni per la protezione dei consumatori e degli investitori; produrre un rapporto sul futuro dei pagamenti digitali e sul ruolo che potranno giocare i cryptoasset; individuare i rischi e proporre strumenti e soluzioni per colmare le lacune regolatorie, e chiede infine alla FED di finalizzare il lavoro sulla CBDC. Il provvedimento indica obiettivi di breve, medio e lungo termine.
È decisivo, per un numero rilevante di motivi. In primo luogo, segnala un’attenzione equilibrata al settore dei digital assets, nei confronti del quale la FED era stata invece ultimamente, almeno nelle dichiarazioni, molto critica, lasciando presagire vincoli e divieti più stringenti di quelli cui il mercato statunitense è abituato.Il provvedimento invece separa, classifica, e consente di prevedere, nell’attuazione, un sostegno all’uso degli assets digitali, promotori di innovazione (inclusione finanziaria, concorrenza, innovazione responsabile, sono le direzioni indicate), e una stretta invece sull’uso criminale o comunque tale da pregiudicare o mettere a rischio: principi fondamentali (la tutela degli investitori, dei consumatori, dei diritti umani); equilibri necessari (la stabilità monetaria, la sicurezza nazionale); la lotta alla criminalità (antiriciclaggio, terrorismo e altre forme di finanziamento illecito).
In secondo luogo, il perimetro dell’azione regolatoria futura delineato dal provvedimento coincide con quello europeo. È questo un dato decisivo, poiché proprio la differenza del perimetro, prima ancora che degli strumenti e dei fini dell’intervento, ha creato in passato fraintendimenti e ostacoli all’azione coordinata tra Stati Uniti e Unione europea, a partire dalla concorrenza sino, in anni recenti, alla tutela dei dati personali. E infatti, i sei pilastri dell’azione del governo nell’Executive Order sono: la tutela dei consumatori e della privacy; la stabilità finanziaria; il contrasto ai finanziamenti illeciti, la sicurezza nazionale; la competitività tecnologica delle imprese (statunitensi); l’inclusione e l’equità finanziaria; l’innovazione responsabile degli asset digitali. Si tratta di materie oggetto di interventi specifici del legislatore europeo con riferimento agli assets digitali e con un approccio tipico di co-regolazione.
A questi, l’Executive Order aggiunge il tema del dollaro digitale, rispetto al quale chiede alla FED un’azione più rapida e incisiva rispetto a quella delineata nel Rapporto pubblicato a gennaio. Sulla CBDC, la BCE è da tempo al lavoro, ma non è ancora chiaro – su entrambe le sponde dell’Oceano – quale funzione dovranno svolgere il dollaro e l’euro digitale. Certo, la prassi si consolida e lo yuan digitale rischia non solo di accelerare i processi ma anche di definire standard, tecnologici e applicativi. La finestra temporale si riduce; di qui la pressione sulla FED.
Tra le varie interpretazioni possibili della sovrapposizione (perfetta) dei perimetri e (quasi perfetta) delle finalità della regolazione statunitense ed europea in corso di discussione, c’è anche quella di un nudging ordinamentale ormai riconosciuto all’Unione europea, un Brussel’s effect che, questa volta, si è spinto oltre atlantico. Certo, gli elementi contingenti – il lancio della yuan digitale, la guerra in Ucraina e il tentativo di alcuni oligarchi russi di aggirare le sanzioni via cryptocurrencies – hanno inciso quanto a tempistica e obiettivi, ma il precedente resta e porterà frutti.
In terzo luogo, il provvedimento evidenzia la necessità, e non più solo l’opportunità, di un coordinamento internazionale (a partire dai G7 e G20) sia per le valute digitali emesse dalle banche centrali sia per le valute private. Questa precisazione costituisce un’indicazione per il Tesoro e le agenzie federali, cui viene chiesto di fatto di inserirsi nel percorso evolutivo (anche di standard) in corso e non di imporne uno nuovo.
In quarto luogo, il provvedimento rileva per gli obiettivi che pone, elencati nei sei pilastri. A questi però, ormai classici nella regolazione degli ordinamenti nazionali e sovranazionali, se ne aggiungono due, relativi ai diritti umani e all’impatto energetico e ambientale. Si tratta di indicazioni precise sulla regolazione futura, destinate a orientare il mercato. Il riferimento al dollaro digitale come ‘strumento per esercitare i diritti umani’, promuovere i ‘valori democratici’ e proteggere da ‘una sorveglianza arbitraria e illecita’, è un messaggio finanche troppo esplicito al governo cinese, e vedremo se costituirà parametro di legittimità o mera valutazione di impatto delle altre CBDC.
Il riferimento all’impatto energetico è invece un messaggio per le blockchain 1.0 e 2.0 (Bitcoin e Ethereum tra le altre), che si fondano su una proof of work che richiede miners dotati di grande capacità computazionale, con annessi datacenters e relativo consumo enorme di energia, e spiana invece la strada alle più moderne blockchain 3.0 e 4.0, che si fondano su una proof of stake (modulata in varie forme) e non richiedono quindi un consumo di energia significativo per validare le operazioni. Il riferimento nell’Order alla sostenibilità ambientale e l’azione delle agenzie federali che ne conseguirà è dirompente, su un piano metodologico, perché – per la prima volta – supera la superstizione della neutralità tecnologica, e impone una classificazione delle piattaforme e delle blockchain che, come le criptovalute e le stablecoin, non sono tutte uguali. Di qui anche il significato del riferimento alla competitività delle imprese e all’innovazione tecnologica. Dunque, se da un lato l’Order arriva tardi, rispetto a un dibattito europeo già sviluppato e molto raffinato, declinato in regolamenti che si auspica saranno adottati nei prossimi mesi, dall’altro lancia per primo la concorrenza tra piattaforme blockchain decentrate, indicando benchmark e obiettivi. Tra questi, l’interoperabilità tra piattaforme assume un ruolo centrale per la promozione (anche) della concorrenza. Si tratta di modelli di organizzazione (aperti e decentrati) molto diversi rispetto alle classiche piattaforme digitali, spesso ‘chiuse’ (i social networks lo sono per definizione) e comunque centralizzate.
L’adozione dell’executive order, i suoi contenuti, la tempistica per l’attuazione, contribuiscono a ridurre sui mercati degli assets digitali quell’incertezza che sinora ha frenato lo sviluppo dell’innovazione. Vedremo come il Tesoro e le agenzie federali eseguiranno i compiti nei prossimi mesi, ma perimetro e direzione sono indicati. Spetta ora alle istituzioni europee decidere se e come prendere atto della volontà rinnovata dell’amministrazione Biden e definire ulteriormente, nei regolamenti in discussione, esigenze e priorità, anche eventualmente indicando criteri e obiettivi che piattaforme e strumenti dovrebbero rispettare. La fase di sviluppo libero, di sandboxes nel mercato è prossima alla fine. Anche qui, è l’ora delle scelte.