L'articolo che segue, scritto dalla prof.ssa Gloria Regonini, è stato presentato il 10 settembre 2022 presso la SISPS2022, nella sessione 13.1 - Empirical constitutionalism: Bruno Dente's intellectual legacy, e viene qui riportato su autorizzazione dell'autrice.
La versione in pdf dell'articolo, contenente note a pie di pagina, bibliografia e interessanti note a margine finali è scaricabile cliccando qui.
Abstract (ENG): Bruno Dente's extraordinary research path provides fundamental indications for understanding the systematic analytical distortions that have conditioned more than 40 years of failed reforms in Italy, from 'Project 80' to the substantial exclusion of the policy perspective from the National Recovery and Resilience Plan. The following pages retrace the first steps of policy sciences in Italy and draw a balance of their impact by adopting as a criterion the degree of institutionalisation of policy evaluation in parliaments, through a close comparison with France. The final part of the paper is dedicated to an analysis of the causes of this exclusion, looking not only at the demand side but also at the supply side.
Abstract (ITA): Lo straordinario percorso di ricerca di Bruno Dente fornisce indicazioni fondamentali per capire le sistematiche distorsioni analitiche che hanno condizionato oltre 40 anni di riforme fallite in Italia, dal 'Progetto 80' alla sostanziale esclusione della prospettiva di policy dall'impostazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le pagine che seguono ripercorrono i primi passi delle policy sciences in Italia e tracciano un bilancio del loro impatto adottando come criterio il grado di istituzionalizzazione della policy evaluation nei parlamenti, attraverso un confronto ravvicinato con la Francia. La parte finale del paper è dedicata a un'analisi delle cause di questa esclusione, guardando non solo al lato della domanda, ma anche al lato dell'offerta.
0. Il punto di partenza: la "legge" di Dente
Nel discorso proferito in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell'Universitat Autònoma de Barcelona il 7 ottobre 2019, Bruno Dente presenta la sua 'prima e unica legge' sul policy making:
"In order to solve a complex policy problem, the policy-making process must exhibit the same amount of complexity—at least in the sense that the number and diversity of actors involved should reflect the types of interests affected by the problem or by the solution. In other words, trying to solve complex policy problems by drastically simplifying them is stupid and dangerous" (Dente, 2019, p. 29)”
Per quasi cinquant'anni, alcuni studiosi di politiche pubbliche italiani hanno cercato di spiegare questo concetto ai policy makers, ma non ci sono riusciti. Come ultimo esempio di questa nostra incapacità, possiamo prendere le parole pronunciate nella replica al Senato del presidente del Consiglio Mario Draghi in occasione del dibattito sul voto di fiducia lo scorso 20 luglio: "Anche sul reddito di cittadinanza ho detto quello che dovevo dire: il reddito di cittadinanza è una cosa buona, ma se non funziona è una cosa cattiva".
Questo contributo si pone tre obiettivi. La prima parte è una ricostruzione storica dei primi passi compiuti in Italia nel campo dell'analisi e della valutazione delle politiche pubbliche. Il suo scopo è lasciare una testimonianza non solo per ricordare, ma anche per capire la forza e i limiti di un innesto non facile. La seconda parte cerca di fare un sommario bilancio di settant'anni di sviluppo delle policy sciences, con particolare attenzione al tema del radicamento della policy evaluation nei parlamenti. La terza parte muove dalla constatazione del drammatico ritardo italiano e cerca quanto meno di eliminare alcune delle spiegazioni correnti attraverso un confronto ravvicinato con la Francia. Le conclusioni sottolineano alcune responsabilità della epistemic community italiana degli analisti di politiche pubbliche.
1. Una nuova generazione di ricercatori
Iniziamo con una premessa: questa breve ricostruzione storica è chiaramente di parte, perché chi scrive ha condiviso con Bruno Dente i primi anni di studio e ricerca. Erano gli anni '70, e in Italia, come in altri paesi, avvenivano cambiamenti che sfidavano le tradizionali interpretazioni degli assetti politici, istituzionali e amministrativi nazionali. Sul piano politico, la vittoria elettorale del Partito Comunista Italiano alle elezioni amministrative del 1975 e la forte affermazione alle elezioni politiche dell'anno successivo rendevano realistico un futuro 'sorpasso' rispetto alla Democrazia Cristiana. Ma un altro dato dà l'idea della distanza tra ora ed allora: nel 1976, i votanti al Senato furono il 93,39 % degli aventi diritto al voto. Sul piano istituzionale, la creazione delle Regioni a statuto ordinario (1970) era stata seguita da importanti innovazioni riguardanti le loro strutture di programmazione e di ricerca. A livello locale, nelle grandi città i movimenti degli anni '60 per il diritto alla casa e ai servizi sociali avevano generato esperimenti di partecipazione nei quartieri che in alcuni casi erano diventati esempi di decentramento partecipativo. Nel campo della programmazione economica, il passaggio dal primo (1966-70) al secondo Piano quinquennale (1971-75) era stato segnato dalla pubblicazione del "Progetto '80 (1969), un documento che cercava di reindirizzare la politica di piano, rivelatasi sostanzialmente inefficace, ma che a sua volta era rimasto privo qualunque pratica attuazione.
L'insieme di questi cambiamenti metteva in evidenza una serie di limiti delle tradizionali categorie utilizzate per studiare il caso italiano da storici, sociologi, giuristi e politologi, perché rendeva più sfumata e complicata la distinzione tra politica e amministrazione, tra organi tecnici e organi politici, tra le espressioni della partecipazione spontanea e di quella regolata.
E a cercare di decifrare questi cambiamenti c'era una nuova generazione di studiosi, con percorsi formativi anomali e aperti alla multidisciplinarietà. Infatti nei primi anni '70 una pluralità di istituzioni, dagli enti locali alle regioni e alle fondazioni, avevano avviato programmi di formazione nel campo delle scienze sociali, attenuando in qualche modo il monopolio della formazione universitaria. Così, in queste discipline, la formazione basata sul legame stretto tra l'assistente e il professore ordinario fu rimpiazzata da scuole che in parte anticipavano la struttura dei dottorati, ma che erano anche luoghi di formazione interdisciplinare e di socializzazione.
Nel caso di Bruno Dente, il primo canale di formazione dopo la laurea (1969-1973) fu l'Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica (Isap) di Milano, sorto nel 1959 per iniziativa del Comune e della Provincia, e dedicato allo studio delle trasformazioni in atto nelle amministrazioni, con un'impostazione prevalentemente giuridica, ma aperta al contributo di storici e sociologi. Nel caso di chi scrive, il canale di formazione fu il Comitato per le Scienze Politiche e Sociali (CoSPoS) di Torino, diretto da Norberto Bobbio, uno dei quattro programmi italiani finanziati dal Social Science Research Council di New York e alla Ford Foundation (Roghi, 2009), con il sostegno della Fondazione Adriano Olivetti. Anche in questo caso, i borsisti ammessi ai corsi provenivano da facoltà diverse2 e i seminari coprivano un'ampia gamma di discipline e di metodi. Questi contesti ci permettevano molta libertà nella ricerca dei paradigmi che ci servivano: e noi la usavamo tutta.
Nella ricostruzione del suo percorso di ricerca, Bruno Dente ricorda un altro importante dato: "One must also remember that people of my age were students in 1968" (2019, p. 18). Chi scrive non può che confermare la rilevanza di quella esperienza, che per noi si traduceva nel considerare la conoscenza come una responsabilità che deve portare alla sua utilizzazione pratica:"It was this foundational multidisciplinarity, coupled with the imperative to produce what Lindblom called “usable knowledge,” that shaped how we were thinking and doing research" (Dente 2019, p. 18-19).
1.1. La scoperta dell'America
Come scrive Bruno, la libertà di ricerca di cui godevamo ci portò a scoprire lo studio delle politiche pubbliche, un campo di ricerca made in USA: "We were looking for new ways of making sense of the processes we were interested in. With public policy analysis, we found a new unit of analysis, the policy, an analytical space within which it was possible to arrange the different elements that we were gradually discovering to be relevant in such a way as to identify causal connections and give reasonable explanations of outcomes" (Dente, 2019 p. 20). Il testo prosegue con la citazione di autori quali Harold Lasswell, Aaron Wildavsky, Charles Lindblom, Theodore Lowi, Graham Allison.
Può sembrare strano che, in anni in cui il dibattito politico a sinistra sembrava considerare solo due alternative, le socialdemocrazie europee e i sistemi comunisti, due ricercatori con un orientamento progressista guardassero oltre Atlantico, a una nazione dove “... civil war and authoritarian rule have become frightening possibilities, an undeclared war in Vietnam that violates the moral conscience of the world, these are continuing conditions entirely unpredicted by political science" (Easton, 1969, p. 1053).
Ma studiando i movimenti urbani per la riqualificazione dei quartieri e la Guerra alla povertà, avevamo conosciuto il movimento per le policy sciences e ne eravamo rimasti colpiti, in quanto "an emerging interdisciplinary movement simultaneously serving democratic values, academic theory-building, and governmental needs" (Lasswell, 1951, p. 14).
Benché trovare i testi originali fosse tutt'altro che facile, e le scarse traduzioni oscurassero, più che chiarire, l'originalità dei policy studies, i punti che maggiormente colpivano la nostra curiosità analitica erano i seguenti:
- l'interdisciplinarietà: "Policy analysis is an applied subfield whose content cannot be determined by disciplinary boundaries but by whatever appears appropriate to the circumstances of the time and the nature of problem" (Wildavsky, 1979. p, 15)
- l'idea che conoscere è avere la responsabilità di agire: "In holding that to know is to bear a responsibility for acting, post-behavioralism joins a venerable tradition inherited from such diverse sources as Greek classical philosophy, Karl Marx, John Dewey, and modern existentialism" (Easton, 1969, p. 1059)
- il netto richiamo alla democrazia e alla dignità umana: "In a word, the special emphasis is upon the policy sciences of democracy, in which the ultimate goal is the realization of human dignity in theory and practice” (Lasswell, 1951, p. 15)
- il ruolo attivo dell'analista: "The policy sciences are concerned with knowledge of and in the decision processes of the public and civic order’ (Lasswell 1971 p. l)
- il sostegno alla partecipazione dei cittadini: “Whatever else policy analysts may be, therefore, I believe they should be advocates of citizen participation (..). Designing policies that facilitate intelligent and effective participation is an essential task of policy analysis” (Wildavsky, 1979, p. 255)
- il diritto di parlare a voce alta:"The task of policy analysis, therefore, is the weighty and ancient one of speaking truth to power" (Wildavsky, 1979, p. 126)
- il diritto di andare controcorrente:"The capitalistic assumption that capitalistic processes produce their own social solutions is sheer mythology" (Lowi 1969, p. 18)
In sintesi, a colpirci era quell'accurato mix di passione civile e conoscenza scientifica di cui Giorgio Freddi (2004) parla nella sua analisi del contributo di Aaron Wildawsky.
Tutto sommato, era immaginabile che questi temi catturassero l'interesse di due ricercatori entrati in contatto con i movimenti del '68:"This is a foundational element of our work: the idea that we are trying to improve the theory and practice of public policy making, by better understanding the reality of the policy process so that we can suggest ways of overcoming the obstacles that often make collective problems intractable" (Dente 2019, p. 20).
Ma dalla lettura di Lasswell, di Lindblom, di Wildavsky emergeva anche una svolta epistemologica importante. Molti tratti delle loro elaborazioni, quali il carattere contingente e contestuale della conoscenza, la fluidità delle distinzioni tra fatti e valori, tra metodi e risultati, ci erano già familiari. Infatti, prima di conoscere le policy sciences americane, i nostri riferimenti analitici erano la teoria critica della società della Scuola di Francoforte6. Quando scoprimmo che anche altri studiosi riconoscevano un filo rosso tra le policy sciences e le elaborazioni di Habermas e di Offe, trovammo una conferma al nostro 'sincretismo':"Policy analysis that recognizes the centrality of 'interaction' must therefore rest upon a powerful theory of action, and that theory of action is the heart of the critical theorist's concern." (Forester, 1982, p. 155)
Così, il contatto con le policy sciences ci dischiuse la conoscenza dell'‘epistemological revolution’ in atto negli Stati Uniti (Novick, 1988), denominata, a seconda delle sue ramificazioni, con termini quali post- positivista, post-comportamentalista, post-moderna, e qui di seguito richiamata come 'post'.
1.2. Il rapporto tra political science e policy sciences
In ogni campo del sapere, il radicamento accademico di una nuova disciplina comporta una qualche frizione con le materie di studio preesistenti. Ma nel nostro caso, oltre a un nuovo oggetto di analisi, gli 'ultimi arrivati' proponevano anche una nuova impostazione epistemologica con profonde conseguenze nella scelta dei metodi di ricerca e di validazione dei risultati.
In altri paesi, il paradigma delle policy sciences poteva comunque contare su una qualche continuità con la ricerca teorica compiuta in altri campi delle scienze sociali. Come abbiamo visto, sia negli Stati Uniti, sia in Germania era possibile rintracciare un qualche legame con approcci epistemologici innovativi, ma già riconosciuti come autorevoli. Nel primo caso, il riferimento obbligato è al pragmatismo di John Dewey:"The policy sciences are a contemporary policy adaptation of the general approach to public policy that was recommended by John Dewey and his colleagues in the development of American pragmatism" (Lasswell, 1971, xiv).
Nella Repubblica Federale Tedesca, il collegamento più diretto era, come abbiamo sottolineato, alla Scuola di Francoforte e alla teoria critica della società. Ancora oggi, è difficile trovare una elaborazione teorica sullo stato e la sua azione senza vedere citato il nome di Habermas (Gottweis and Fischer, 2012; Saretzki 2015; Emerson, 2019). Così, negli anni '70, gli studiosi tedeschi di politiche pubbliche potevano giovarsi del collegamento con teorie che si proponevano di uscire dall’"intellectual tradition of value-free empirical research" (Scharpf, 1978, p. 349), e che provavano a confrontarsi con la «nuova imperscrutabilità» (neue Unübersichtlichkeit) prefigurata da Habermas (Mayntz, 1999, p. 16).
Anche in Francia la scienza politica aveva al suo interno una serie di studiosi impegnati nel confronto con il 'cambio di paradigma' in corso nelle scienze sociali (Muller & Surel, 1996). E le analisi di Pierre Bourdieu e di Michel Foucault sul potere nelle società neoliberali esercitavano una profonda influenza sulla riflessione teorica (Swidler and Arditi 1994, p. 315). Nel campo delle policy sciences, questa impostazione si è tradotta nell'analisi delle rappresentazioni sociali su cui le politiche pubbliche si basano, e che a loro volta contribuiscono a rafforzare:"Qualunque azione sociale implica una operazione di definizione sociale della realtà, che a sua volta è costitutiva dell’attore sociale e predetermina ampiamente la sua linea di condotta. Questa operazione mobilita certi saperi e certe norme sociali, e mette in opera determinate ipotesi causali" (Jobert, 1992, p. 220; v. anche Muller, 1995).
1.3. Le dissonanze nel caso italiano
In Italia, il rapporto tra la scienza politica mainstream e le nascenti policy sciences ha conosciuto qualche frizione in più. Prima di esaminare le ragioni scientifiche dei disallineamenti, per correttezza occorre accennare anche ai risvolti pratici della relazione. Nel precedente paragrafo, abbiamo sottolineato l'importanza di un contesto formativo aperto, senza barriere disciplinari, favorevole alle ibridazioni, sganciato dalle logiche della riproduzione accademica. Ma, una volta finite le borse di studio, il legame debole con l'epistemic community di riferimento diventava un handicap non solo per l'istituzionalizzazione delle policy sciences, ma anche per lo sviluppo delle prospettive lavorative individuali, perché a quel punto occorreva trovare una collocazione 'in casa d'altri". E il fatto di avere partecipato al '68 non agevolava la cosa7, anche a causa della deriva violenta di una parte di quel movimento.
A fare da ponte tra le questioni pratiche e le questioni teoriche, sta il tema dell'interdisciplinarietà che, come ricorda Bruno Dente, per noi era centrale, dati i nostri precorsi formativi e data l'impostazione delle policy sciences: "Not having had any formal training in the discipline - actually, we were the very first to teach it in our universities - we assembled different elements coming not only from the American tradition dating since Lasswell but also from public administration, organizational sociology, law, public and development economics, game theory, urban planning, etc" (Dente, 2019, p. 18).
Ma la scienza politica in Italia tra gli anni 70 e 80 era a sua volta alla ricerca di un autonomo riconoscimento istituzionale, con la piena emancipazione sia dal diritto, sia dalle altre scienze sociali8. Così le carriere accademiche e i progetti di ricerca degli studiosi di politiche pubbliche dovevano destreggiarsi tra tensioni diverse: l'adesione all'epistemic communiny degli scienziati politici, ma anche l'indispensabile ricerca di collaborazioni in altri campi disciplinari; il rispetto degli standard nella produzione scientifica, ma anche l'esigenza di verifiche sul campo con l'impegno diretto in iniziative gestite dalle amministrazioni pubbliche....
Dopo questa parentesi biografica (e autobiografica), passiamo ora a esaminare una dissonanza con maggiore rilevanza teorica. Come è noto, la scienza politica italiana negli anni '70 e '80 poneva al centro della ricerca e della didattica lo studio dei partiti, considerati 'l'argomento principe' della disciplina (Norberto Bobbio 1997, p. 168). Del resto, le anomalie del sistema partitico italiano rispetto alle altre democrazie europee giustificavano un investimento in questa direzione. Come notava von Beyme, "La specificità del 'caso italiano' viene trattata soprattutto nella teoria dei partiti" (1987, 95).
La tesi dominante tra gli studiosi del sistema politico italiano associava in un rapporto di causa-effetto le anomalie e le incongruenze del sistema partitico italiano alle anomalie e alle incongruenze dei governi, intesi, nella stretta accezione del diritto costituzionale, come le compagini dell'esecutivo previste dall'art.92 della Costituzione. Quindi, fenomeni quali le coalizioni in perenne conflitto, le continue crisi di governo, gli impegni programmatici vaghi e comunque elusi, venivano considerati tout court come indicatori di 'non governo' (Allum 1973; Di Palma 1978).
I giovani studiosi di policy, invece, avevano letto Lowi ed erano rimasti colpiti dalla coerenza della sua tesi, sintetizzata nell'espressione "policy determines politics" (Lowi, 1972), che segna un chiaro ribaltamento delle ricerche di derivazione sistemica, che vedono nelle politiche la variabile dipendente dalla politica. Invece, come è noto, per Lowi, sono le caratteristiche dei problemi sul tavolo a strutturare le relazioni tra i policy makers: "Ogni arena tende a sviluppare la propria caratteristica struttura politica, il suo processo politico, le sue élite e i suoi tipi di rapporti tra gruppi" (Lowi, 1964, p. 20 trad. it.).
Inoltre, la nitida tipologia di Lowi - politiche distributive, regolative, redistributive, costituzionali - apriva la strada a un nuovo modo di collocare il caso italiano in prospettiva comparata. Così, ad esempio, il 'governo spartitorio' (Amato, 1976) cessava di essere una prerogativa italiana, se confrontato con lo spazio che le politiche distributive e il pork barrel hanno nell'aggregazione del consenso nel Congresso americano. Dunque, la nostra proposta metodologica (per la verità espressa in modo involuto) era di tenere quanto meno distinta l'analisi delle dinamiche della politics dalla ricostruzione dei processi decisionali che caratterizzano le diverse arene di policy:"..Il fatto che tra i policy makers più attivi e ricorrenti stiano rappresentanti di partiti politici non significa che le strategie, le logiche e gli schieramenti attraverso cui sono decise le substantial policies (..) coincidano con le strategie, le logiche e gli schieramenti che gli stessi attori adottano nelle questioni che riguardano i rapporti tra partiti o tra fazioni di partito" (Dente e Regonini, 1987, p. 89).
Così, in modo elegante, Giorgio Freddi (2002), cui si deve larga parte della mediazione, anche sul piano teorico, riassume la ricomposizione del conflitto: "Il volutamente retorico aut-aut di Lowi ha, anche da noi, provocato qualche scambio vivace: da un canto, s’è avuta qualche manifestatone di zelo arrogante da parte dei giovani neofiti della nuova disciplina, dall'altro, qualche reazione un tantino stizzosa dell'establishment politologico. Ma, di fronte a una sempre più sostenuta, e qualitativamente alta, produzione di monografie dovute agli analisti di policy, che chiaramente evidenzia nessi stretti con la tradizione politologica, il conflitto s’è esaurito prima di esplodere" (p.7).
1.4. Dall'applicazione della conoscenza scientifica alla valutazione delle politiche pubbliche
Se i disallineamenti di cui abbiamo parlato finora hanno trovato una qualche ricomposizione pratica, era (ed è) impossibile trovare una mediazione accettabile in quella particolare Methodenstreit che vedeva contrapposti i maestri della scienza politica 'normale' e i giovani studiosi che iniziavano a confrontarsi con il coinvolgimento, le difficoltà e le contraddizioni della valutazione delle politiche. Il problema era andare oltre l'analisi dei processi, "the knowledge of", per passare alla "knowledge in" (Lasswell 1971 p. l):
"The orientation is twofold. In part, it is directed toward the policy process, and in part toward the intelligent needs of policy. The first task, which is the development of a science of policy forming and execution, uses the methods of social and psychological inquiry. The second task, which is the improving of the concrete content of the information and the interpretations available to policymakers, typically goes outside the boundaries of social sciences and psychology." (Lasswell, 1951, p 3)
Su questo 'andare oltre', pesava la netta interdizione di Giovanni Sartori:"Dico subito che chi sostiene la tesi della scienza valutante sostiene un principio insostenibile (...). Una scienza valutante è una contraddizione in termini, un conoscere che non nasce o che si auto-distrugge" (Sartori, 1979, p. 46).
A distanza di decenni, occorre comunque sottolineare che questa posizione era ben lontana da una difesa della scienza come attività esclusivamente teorica, chiusa in una torre d'avorio. Tutt'altro:
"Negli Stati Uniti, la scienza politica ha lasciato cadere la relazione tra teoria e pratica, e si è concentrata unicamente sulla relazione tra teoria e ricerca. Seguendo questo sentiero, la teoria si è atrofizzata e trasformata nel semplice disegno di ricerca, la ricerca stessa è diventata un fine in sé, la domanda «scienza per cosa?» è stata ignorata e, alla fine, poco è rimasto al di là della operazionalizzazione, della quantificazione o del trattamento statistico di una mole perennemente crescente di dati. Ho sempre cercato di resistere a tutto ciò" (Sartori, 1997, p. 254 ed.2011).
Lo stesso principio di avalutatività viene declinato da Sartori non come vincolo assoluto, bensì come principio finalizzato a garantire l'imparzialità e l'onestà della ricerca: "Scienze quali la psicologia e l’economia hanno fatto la loro strada perseguendo o presupponendo – più o meno implicitamente – fini di valore. La medicina non è danneggiata dal ritenere la salute un bene. Dal che sembra discendere che l’avalutatività è un 'principio regolativo', non un principio costitutivo" (Sartori, 1979, p. 84 ed.2011). Del resto, larga parte degli scritti di Sartori è animata dall'impegno civile per migliorare il funzionamento del sistema politico italiano.
Dunque, dov'è il problema? Il nodo sta nel fatto che per Sartori il prolungamento dalla teoria alla pratica è definito come applicazione della prima alle concrete situazioni: "Una teoria operativa o applicabile, è una teoria che si traduce in pratica in modo conforme, e cioè come previsto e stabilito dal disegno teorico. Per «applicabilità» si deve intendere, allora, la corrispondenza dell’esito al proposito, del risultato alla previsione. In parole povere, l’applicabilità è l’applicazione che «riesce», non l’applicazione che fallisce producendo risultati non previsti e non voluti." (Sartori, 1979, p. 83 ed.2011)
Ma sia le elaborazioni che arrivavano dagli Stati Uniti, sia le lezioni imparate con le prime concrete valutazioni, soprattutto a livello locale, ci inducevano a ritenere che il tipo di usable knowledge prodotto in questi esercizi andasse ben oltre la mera applicazione della teoria alle concrete situazioni che l'analista esamina:"The necessary strategies were therefore much more complex and diverse and implied the ability to substantially modify the policy process" (Dente, 2019, p. 24)
Innanzi tutto, è arduo trovare nelle scienze sociali teorie generali che possano valere come base per specifiche applicazioni:
"Non possiamo asserire con sicurezza che "in circostanze comparabili” chi si comporta in modo simile otterrà effetti simili" (Schön 1971, p.233)
"The study of social knowledge in social change calls for a study of amorphous inquiry, probing, investigation, or search as practised by many kinds of people in various roles. The specialist contributions of those who engage in professional scientific discovery and testing have a place in such processes, but only a limited one" (Lindblom, 1990, p.8).
"Nello studio delle politiche, dove la conoscenza è endogena, la valutazione è un metodo di ricerca e scoperta che si inserisce nei processi decisionali insieme al sapere ordinario, nella consapevolezza che spesso i problemi sociali sono risolti dall’interazione sociale o dall’apprendimento sociale, piuttosto che dal sapere scientifico" (Radaelli e Dente, 1995, p. 172).
Queste citazioni e quelle presentate nel primo paragrafo convergono verso una stessa direzione: "Public policy analysis is about understanding and managing complexity in the public sphere" (Dente, 2019, p. 24).
Qui 'complessità' non è più un termine generico per indicare una situazione non chiara, complicata, difficile da decifrare, ma è un concetto con ampie implicazioni epistemologiche che, come vedremo tra poco, investono lo stesso rapporto tra valutante e valutato (Kurtz and Snowden, 2003).
Ovviamente non è possibile sintetizzare in poche righe la sterminata letteratura sulla complessità delle politiche pubbliche, e di conseguenza della loro valutazione. Ricordiamo che
- i problemi sono spesso mal definiti, strettamente intrecciati, perversi (Rittel and Webber, 1974)
- le regole sono continuamente ridefinite:"Non-linearità significa che l’atto del giocare il gioco dà modo di cambiare le regole" (Gleick 1987, 24)
- i processi hanno confini indefiniti e i network degli attori sono ingarbugliati:"Noi consideriamo il policy making come un processo estremamente complesso, senza un inizio o una fine, con confini che rimangono in gran parte incerti" (Lindblom 1980, p. 5).
- quando il più sembra fatto e le decisioni sono state prese, l'implementazione rivela i suoi tratti caotici:"La complessità del gioco del potere nel policy making – le sua obliquità, le imprevedibilità, le frustrazioni, i capovolgimenti, e gli inevitabili parziali fallimenti – si moltiplica nell’implementazione delle politiche" (Lindblom 1980, p. 64); "To discover why something that seemed simple actually was so convoluted, we wrote a book on Implementation to show how the complexity of joint action—multitudes of agencies, innumerable regulations, stacked-up levels of government—made it difficult to move." (Wildavsky, 1979, p. 4)
- il confronto tra gli obiettivi originari e i risultati ottenuti è spesso una pia intenzione:"To know whether objectives are being achieved, one must first know what they are supposed to be. Yet, the assumption that objectives are known, clear, and consistent is at variance with all experiences. We know that objectives invariably may be distinguished by three outstanding qualities: multiple, conflicting, and vague. They mirror, in other words, the complexity and ambivalence of human social behaviour" (Wildavsky 1979, p. 215).
- le soluzioni diventano rapidamente nuovi problemi:"Past solutions create future problems faster than present troubles can be left behind" (Wildavsky, 1979, p. 70); "Quella che normalmente è considerata come variabile dipendente (l’output delle politiche) è anche la variabile indipendente. Le politiche sono invariabilmente costruite sulle politiche, spostando in avanti ciò che è stato ereditato, o correggendolo, o ripudiandolo" (Heclo 1974, 315).
Insomma, "non si tratta soltanto di cause multiple: vi sono anche effetti multipli e, ciò che più importa, vi sono modelli d’interazione nei quali è impossibile distinguere tra causa ed effetto" (Lasswell e Kaplan, 1950, p. 8 trad.it.).
Ma questo è 'solo' il primo aspetto della complessità della valutazione delle politiche pubbliche, quello che riguarda le particolari caratteristiche dei fenomeni da valutare. Il secondo aspetto ha implicazioni ancora più ampie, perché è la stessa attività svolta dal valutatore a modificare le politiche valutate. Bruno Dente esprime in modo molto chiaro questa seconda fonte di complessità e precarietà della valutazione:
"In the first place, I know that we do not have a general theory of policy making and implementation, and I suspect that it is also impossible to build one. The reason lies not only in the contextual nature of the policy game but also, and more fundamentally, in the fact that our own work modifies the object of our study. Actors learn and adapt their behaviour not only in light of their own experience but also in light of the research that we do. Through education and training, the cognitive endowment of politicians, civil servants, representatives of interests’ groups, and, obviously, experts has been progressively modified and enriched. As a consequence, they have changed their strategies and preferred courses of actions, which makes our previously valid interpretations and advice less useful" (Dente, 2019, p. 27).
La circolarità della relazione tra valutatore e valutato richiama per analogia un testo stupefacente di John Dewey (1859-1952) e di Arthur Bentley (1870-1957), l'autore di The Process of Governmen (1908). Il libro, dal titolo Knowing and the Known, scritto nel 1949, quando i due autori erano ormai molto anziani, contiene una critica serrata della teoria della conoscenza sottesa al neoempirismo logico, che si basa su una netta separazione tra osservante e osservato. Bentley, oltre che dal dibattito epistemologico europeo, "was also fascinated by contemporary physics, where he saw parallels important to his own evolving social philosophy. Quantum mechanics, for example, replaces the "billiard ball" interaction of discrete particles with an integral "field" whereby the "reality" observed depends upon the instruments employed and the interests of the observer" (Ryan 1997 p. 778)
Dewey e Bentley scrivono: “... In our general procedure of inquiry, no radical separation is made between that which is observed and the observer in the way which is common in the epistemologies and in standard psychologies and psychological constructions. Instead, observer and observed are held in close organization" (Dewey e Bentley, 1949 p. 103-104)
Larga parte delle elaborazioni di autori quali Lasswell, Lindblom, Wildavsky di fatto hanno il loro fondamento in questo tipo di impostazione. Questo imprinting spiega la permeabilità delle policy sciences americane a quelli che abbiamo chiamato gli approcci 'post' (Rein, 1983). Ma l'approccio trans-azionale di Dewey e Bentley ha costituito anche un piccolo ma solido ponte tra la valutazione delle politiche e la political science americana già a partire dai primi anni '50.
Invece, in Italia, data la tradizione, antica e recente, degli studi politici, la dissonanza epistemologica di approcci alla valutazione quali quello di Bruno Dente risuonava in qualche modo più forte.
E con questo abbiamo fatto i conti con il passato.
2. 50 anni dopo: bilanci diversi
Oggi, a diversi decenni dalla nascita della nuova disciplina, i bilanci non mancano, sia a livello internazionale, sia nazionale. E non sono entusiasmanti.
Indubbiamente, i policy studies, intesi in senso ampio, hanno guadagnato spazio nelle università, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Italia. Oggi i profili formativi sono più strutturati e specializzati, anche per l'adozione di più avanzate tecniche di ricerca quantitative. Soprattutto negli Stati Uniti (Radin, 2013), ma in parte anche in Italia, la professione dell'analista di politiche pubbliche è più definita e più riconosciuta. Anche i clienti si sono ampliati e differenziati, sia nelle istituzioni, sia nel settore no profit, nelle think tanks, nelle imprese private, nei media.
Ma "Growth in academic public policy programs and ready employment are not complete measures of success or salience" (deLeon, Steelman, 2001, p. 163). Infatti, se consideriamo le promesse della policy analysis and evaluation degli anni '50-'80, il bilancio cambia nettamente. La speranza di un impatto positivo sulla qualità e sull'estensione della democrazia non si è realizzata, ma, al contrario, negli ultimi tre decenni, nei paesi occidentali si è verificato un costante declino della partecipazione dei cittadini, sia nell'arena politica, con la contrazione delle percentuali dei votanti, sia in quella sociale, con la contrazione delle forme di mobilitazione dal basso sperimentate negli anni '60 e '70 (Jörke, 2016; Parvin, 2018). Ma, soprattutto, si è ristretto lo spazio per un policy making basato su una qualche forma di convergenza argomentata nella definizione dei problemi e delle soluzioni, mentre sono dilagati il post-fact world (Perl et al, 2018) e la polarizzazione della competizione politica:
"The United States unfortunately has become the leader in a movement away from careful use of evidence and analysis in policy making toward a more politicized style of policy. While all political actors have had their own opinions as long as there has been politics, now everyone has their own facts. The failure to accept evidence, even coming from reputable scientific sources (climate change for example) makes effective policy making all the more difficult" (Peters, 2018, p. 347-8).
Come sappiamo, le cause di questa situazione sono a loro volta molto complesse, e ampiamente al di fuori della possibilità di controllo da parte dell'epistemic community degli analisti delle politiche, anche se alcuni studiosi hanno chiamato in causa la tendenza all'autoreferenzialità delle università:"The incentive structures for faculty, departments, and universities encourage atomistic thinking and research to the detriment of more common interest efforts" (deLeon e Steelman, 2001, p. 169; v anche Radin, 2018, p. 48). In effetti, poco è rimasto dello spirito che condusse Lasswell e Wildavsky a creare scuole per un nuovo 'professional training in the public interest'. Così la tendenza a 'dire la verità ai colleghi' talvolta sembra prevalere sull'indicazione data da Wildavsky. E i temi scomodi, che hanno a che fare con la distribuzione delle risorse e del potere, tendono a rimanere inesplorati:"One of the central concepts of public policy analysis as I know it—the resources of the actors—is totally ignored by the vast majority of textbooks on public policy" (Dente, 2019, p. 19). In generale, la tendenza a una maggiore qualità tecnica delle ricerche e a metodi di analisi più aggiornati si è accompagnata a una netta attenuazione della parte di teoria critica della società. Per molti versi, il movimento per le policy sciences nella sua impostazione originaria, i cui metodi e obiettivi abbiamo descritto nel paragrafo iniziale, si è esaurito. Negli Stati Uniti, la forbice tra le aspirazioni della fase nascente e i risultati effettivi è più marcata e più studiata, e non da oggi (Ascher, 1986; Schön and Rein 1994, p. xvi). E il tentativo di 'rilancio' della complessità metodologica su basi epistemologiche più solide non ha dato i risultati attesi; anzi, per certi versi, ha reso più astrusa la disciplina e ha allontanato la produzione di useful knowledge:"Some critical approaches have generally abandoned the idea of democracy and instead focus much of their attention on discrediting the continued use of positivist and neo-positivist methodologies" (Ingram et al, 2016, p 145).
2.1. I conti con l'istituzionalizzazione
Il bilancio sconfortante che abbiamo tracciato cambia radicalmente se, invece di considerare soltanto il lato della formazione e dell'offerta delle competenze da una parte, e la qualità della democrazia dall'altra, cambiamo decisamente prospettiva e guardiamo a quel che sta in mezzo, e cioè consideriamo lo stato della policy analytical capacity delle istituzioni (Howlett, 2015). Infatti le numerose ricerche intraprese negli ultimi vent'anni per censire e analizzare il grado di istituzionalizzazione della policy evaluation nei diversi paesi raccontano una storia molto diversa e più articolata. Innanzitutto, il radicamento coinvolge oggi paesi e continenti che prima ne erano esclusi. In secondo luogo, l'obbligo formale della valutazione viene esteso a nuovi settori, dallo spreco alimentare all'impatto ambientale degli allevamenti di bestiame. Anche in conseguenza di questo, i team di ricerca vedono un continuo allargamento delle competenze disciplinari (Jacob et al, 2015, p. 15), con l'inserimento di esperti di ICT, ma anche di climatologi, geografi, biologi. Infine, in molti paesi, a partire dagli Stati Uniti, sono molte le iniziative legislative adottate per regolare meglio l'incastro tra la valutazione delle politiche e altre forme di audit, dal controllo dei conti pubblici alla valutazione delle performance delle amministrazioni.
Il giudizio complessivo su questa grande espansione diverge a seconda della epistemic community cui appartiene il giudice. Per le learned societies che rappresentano il punto di vista dei professionisti della valutazione e di chi li forma (in Italia, l'Associazione Italiana di Valutazione, negli Stati Uniti la American Evaluation Association..), l'enorme crescita della macchina della valutazione comporta una serie di rischi sia per la qualità del lavoro del valutatore, sia per la trasparenza delle relazioni con i committenti e per l'impatto più generale sulla società (Dahler-Larsen, 2012; Furubo & Stame, 2018). Qui adottiamo invece un altro punto di vista, quello della scienza politica, e dunque utilizziamo un concetto più 'tecnico' di istituzionalizzazione della policy evaluation, per rilevare le dinamiche innescate dall'aumento della policy analytical capacity (Wu et al 2017) sul funzionamento degli esecutivi, dei legislativi e delle agenzie indipendenti (Regonini 2012; Jacob et al, 2015).
Definito questo particolare punto di osservazione, occorre subito mettere le mani avanti. Gli studiosi delle policy sciences of democracy non hanno mai conosciuto l'età dell'innocenza, perché fin dagli anni '50 hanno sottolineato un dato: la valutazione nelle istituzioni e per le istituzioni ha una ineliminabile connotazione politica:"Evaluation, which criticizes certain programs and proposes to replace them with others, is manifestly a political activity. If evaluation is not political in the sense of party partisanship, it is political in the sense of policy advocacy" (Wildavsky, 1979, p. 228-29). Infatti, la valutazione “redistribute power and authority from politicians, interest-groups and citizens to civil servants with the most analytical capacity” (Andersen 2020, p. 270). E non è detto che alla fine la democrazia ci guadagni. Ma questa fondamentale consapevolezza non ha impedito alle policy sciences di individuare e di approfondire una serie di funzioni, essenziali per le istituzioni democratiche, in genere definite con i termini di accountability, learning, enlightenment.
La più utilizzata definizione di accountability è quella fornita da Bovens: “... a relationship between an actor and a forum, in which the actor has an obligation to explain and to justify his or her conduct, the forum can pose questions and pose judgment, and the actor may face consequences" (Bovens 2007, 470). All'interno delle istituzioni, questa esigenza richiede che la valutazione sia un sistematico esercizio attuato da strutture indipendenti, spesso chiamate watchdogs o independent oversight institutions.
Se la funzione dell'accountability è dare conto di ciò che è avvenuto in passato, la funzione dell'apprendimento è facilitare il cambiamento delle scelte future, attraverso “the updating of beliefs based on lived or witnessed experiences, analysis or social interaction” (Dunlop and Radaelli, 2013, 599). Spesso, è la social interaction, più che l'analisi, a generare il riorientamento delle preferenze: "Quando in una Giunta Regionale si discute un rapporto annuale di valutazione lo sviluppo e l’apprendimento stanno nel fatto che si discute dei risultati delle politiche, non nel fatto che un qualche “esperto-demiurgo” presenta “il” risultato della valutazione" (Radaelli e Dente 1995, p. 177).
Infine, tra le funzioni della policy evaluation nelle istituzioni, viene spesso citata la funzione di enlightenment, di orientamento generale, di ampliamento della visione dei contesti, dei problemi e delle soluzioni: “Policy makers count on social science more for enlihtenment than for engineering.” (Lindblom, 1990, p. 273); "Social science can give officials a background of ideas, concepts and information that increase their understanding of the policy terrain" (Weiss, 1995, p. 146).
In conclusione, "It can be argued then, that the institutionalization (of evaluation research) - via professional policy fora and appropriate governmental institutions - can make the conflictual dimension of public policies more manageable, policy learning across coalitions more feasible, and ultimately policy change more likely" (Radaelli & Dente 1996, p. 60).
2.2. Ancora gli Stati Uniti
Per capire meglio le funzioni della policy evaluation nelle istituzioni, conviene guardare a un esempio 'maturo': il Governement Accountability Office degli Stati Uniti, il cane da guardia del Congresso americano. Le ragioni di questa scelta sono due. Innanzi tutto, gli Stati Uniti sono stati per alcuni decenni l'esempio più importante, se non unico, di istituzionalizzazione della policy analysis:"This evaluation praxis, which some European countries started to build already in the 1960s and 1970s, was built on an import from the United States rather than on earlier European traditions (..). When we today, in Europe and beyond, talk about evaluation in the context of government, governance, international development and so on, it is about something associated with specific US-based notions about politics, policy development and implementation (...)" (Furubo, 2018, p. 191).
Le ragioni per cui vale la pena concentrare l'attenzione sul cane da guardia del Congresso, il General Accounting Office, nel 2004 ridenominato Government Accountability Office (GAO), sono già spiegate molto bene da Wildavsky nel 1979:
"Perhaps the General Accounting Office (GAO), which is beginning to do analytic studies, will provide a model of an independent governmental organization devoted to evaluation. Because it has a steady income from its auditing work, it can afford to form, break up, and recreate teams of evaluators. Its independence from the Executive Branch (the Accountant General is responsible to Congress and serves a fifteen-year term) might facilitate objective analysis" (Wildavsky 1979, p. 228).
Istituito nel 1921 per controllare la spesa pubblica, con funzioni analoghe a quelle di una Corte dei Conti, il Gao è stato oggetto di leggi che ne hanno via via allargato le competenze. Per dare concreta attuazione al Government Performance and Results Act (GPRA) del 1993, modificato nel 2010, il Gao ha prodotto accurate metodologie per distinguere la valutazione delle performance dei singoli uffici dalla valutazione delle politiche e dei programmi, pur tenendo conto delle interdipendenze tra i due tipi di verifiche. Dunque, tutto bene? No. L'apprezzamento di Wildavsky per il GAO continua così:"But the independence of GAO has been maintained because it eschews involvement in controversial matters". (Wildavsky 1979, p. 228). In effetti, quaranta anni dopo queste parole, l'aumento della polarizzazione politica nella società e nel Congresso rende ancora più difficile l'esercizio di una valutazione indipendente:"Policy analysis in the Congress is now being conducted in a much more partisan environment and this makes it much more difficult for the producers of these analyses, and for the public which may seek to learn something from them" (Joyce 2018, p. 168). Inoltre, la forte collocazione istituzionale, se da un lato costituisce uno scudo, dall'altro può ridurre lo spazio per 'dire la verità al potere' (Stephenson et al, 2019, p. 668).
2.3. Italia: un bilancio sconfortante
Per tracciare un bilancio di 50 anni di impegno per lo sviluppo delle policy sciences in Italia, partiamo proprio da una ricerca che ha cercato di verificare se esiste una qualche correlazione tra il radicamento culturale e istituzionale della valutazione delle politiche15 e uno dei principali componenti della good governance: la percezione di politiche efficienti per contrastare la corruzione (Dahler-Larsen & Boodhoo, 2019). In effetti, pur con tutte le cautele sottolineate dagli autori, i dati confermano la correlazione. E questa è una buona notizia. Ma dalle comparazioni esce un quadro desolante per quanto riguarda la collocazione del nostro paese rispetto a entrambi gli indici.
Davanti a risultati così sconfortanti, sarebbe urgente un'approfondita ricerca per individuare le cause di un tale fallimento. L'elenco dovrebbe comprendere, quanto meno,
- il rigidissimo controllo esercitato dai giuristi come gate keepers per l'accesso a ogni forma di evaluation e di advice circa l'operato delle istituzioni;
- l'influenza delle appartenenze partitiche nelle designazioni ai vari organi tecnici;
- il nodo scorsoio con cui le finalità perverse della valutazione delle performance - dare gli aumenti ai dirigenti - hanno tolto di mezzo la valutazione delle politiche pubbliche (Regonini, 2018).
Qui proviamo a impostare un esercizio basato sul Most Similar Systems Design (MSSD), da attuare attraverso la comparazione con la Francia, uno stato che condivide con l'Italia la conformazione della sua Supreme Audit Institution, ma che risulta collocato in una posizione molto migliore rispetto al nostro paese nella figura riportata sopra. Gli obiettivi di questo percorso di ricerca, qui sommariamente riassunto, sono due:
- il primo, la pars destruens, è togliere di mezzo la spiegazione più utilizzata per spiegare il ritardo italiano nell'istituzionalizzazione della policy evaluation
- il secondo, la pars construens, è segnalere il contributo che l'analisi dei processi per il radicamento istituzionale della policy evaluation può dare non solo in termini di empirical constitutionalism (Hjern and Hull, 1982), ma anche rispetto alle trasformazioni in corso nelle governmentalities ((Foucault 1977- 1978) dei due paesi.
3. Elementi per una comparazione
3.1. La Francia: verso una nuova gouvernementalité
Per molti anni, nelle occasioni in cui chi scrive cercava di promuovere la valutazione delle politiche pubbliche come strumento del legislative oversight, gli interlocutori (dirigenti amministrativi, politici, costituzionalisti..) sollevavano regolarmente la stessa obiezione: l'incompatibilità della proposta con l'impianto istituzionale italiano, perché gli esempi di successo citati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia..) riguardavano paesi di common law, con particolari tipi di Supreme Audit Institutions, basati su Comptroller Generals, nominati dai parlamenti. In questi contesti, riconducibili al Westminster model, il controllo del parlamento sull'operato dell'esecutivo ha avuto un'evoluzione più decisa. Diverso sarebbe invece il caso dei paesi dell'Europa continentale (Francia, Italia, Spagna, Belgio...) riconducibili al Judicial or Napoleonic Model, perché caratterizzati da un ruolo fondativo del diritto pubblico e dalla presenza delle Corti dei Conti, che sono magistrature indipendenti, equidistanti sia dall'esecutivo, sia dal legislativo.
La rilevanza di questa distinzione contrasta però con i risultati delle più recenti comparazioni, che collocano la Francia in una posizione decisamente più avanzata rispetto all'Italia (e alla Spagna) per quanto riguarda la 'maturità' della cultura della valutazione nelle istituzioni (Jacob et al, 2015, p. 12).
La Francia, infatti, dal 2008 si colloca tra i paesi che, come la Svizzera e la Svezia, citano nelle loro Costituzioni la valutazione delle politiche pubbliche come strumento di controllo dei parlamenti nei confronti dei governi.
La riflessione sull'istituzionalizzazione delle politiche pubbliche inizia nel 1986 con un rapporto predisposto dal Commissariat général du plan, nel quale si afferma:"In definitiva, lo sviluppo della valutazione delle politiche pubbliche nel nostro Paese appare come una priorità imperativa, soprattutto nella prospettiva dell'adattamento continuo degli interventi pubblici e dell'enlightment del dialogo sociale".
Dopo una lunga serie di iniziative, nel 2007 il neoeletto presidente Sarkozy nomina un 'Comitato di riflessione e di proposta sulla modernizzazione e il riequilibrio delle istituzioni' noto come Comité Balladur. Tra i suggerimenti formulati, c'era una proposta di legge di revisione costituzionale, poi effettivamente approvata nel 2008 (Pouvoirs, 2013; Rozenberg e Surel, 2018). L'art. 24 del nuovo testo recita:"Il Parlamento vota la legge. Controlla l'azione del Governo. Valuta le politiche pubbliche." L'art. 47.2 dice:"La Corte dei Conti assiste il Parlamento nel controllo dell'azione del Governo. Assiste il Parlamento e il Governo nel controllo dell'attuazione delle leggi di finanza e dell'applicazione delle leggi di finanziamento della sicurezza sociale, così come nella valutazione delle politiche pubbliche".
L'anno successivo, una legge ha regolato l'attuazione della revisione costituzionale, prevedendo il diritto del Parlamento di ottenere dal Governo uno studio di impatto per ogni disegno di legge presentato, con la definizione degli obiettivi, i motivi del ricorso a una nuova legge, la valutazione delle conseguenze economiche, sociali e ambientali previste, le modalità di attuazione e le loro conseguenze (https://etudesimpact.assemblee-nationale.fr/). Sempre nel 2009 è stato istituito nell'Assemblea Nazionale il Comité d’évaluation et de contrôle des politiques publiques, una struttura bipartisan che valuta le politiche che, per la loro natura transettoriale, sono di competenza di più commissioni. L'attuazione della riforma, che è ancora in corso, ha visto impegnati tre diversi presidenti, appartenenti a tre diversi partiti, e tutte le principali istituzioni francesi. Dopo un decennio, il giudizio sembra sostanzialmente positivo:"Follow-up and evaluation have thus become a natural task for parliamentary committees that can rely on multiple sources of information and documentation. Beyond the access to governmental documents and reports, parliamentary committees have developed their own evaluation and research capacities. This is complemented by the interaction with other administrative units of the parliament and the cooperation with the Cour des comptes in France" (De Vrieze 2020, p. 432).
Altri osservatori hanno espresso giudizi più critici. I punti più controversi sono i seguenti:
- lo scarso coordinamento tra le varie fonti che producono valutazioni
- la separatezza tra i ricercatori accademici e l'alta amministrazione, con il rischio che i primi siano scarsamente accountable e i secondi scarsamente competenti;
- la necessità di una profonda revisione delle competenze tecniche della Corte dei Conti, per metterla in grado di svolgere i suoi nuovi impegnativi compiti.
Soprattutto, il rischio riguarda il ruolo del Parlamento, che in Francia continua a rimanere un'istituzione debole rispetto ad altri paesi:"A major stake for the future thus lies in the capacity of the French parliament to grasp policy analysis while continuing to offer what is expected of Parliament: pluralist debate" (Rozenberg & Surel, 2018, p.151)
L'iniziativa del Consiglio di Stato
Per affrontare questi problemi, ma più in generale per riflettere sui cambiamenti innescati dalla riforma costituzionale nelle relazioni tra le istituzioni, nel 2020 il Consiglio di Stato ha dedicato il suo studio annuale a questo tema: 'Condurre e condividere la valutazione delle politiche pubbliche'. La motivazione è limpida:"Il Consiglio di Stato non è soltanto giudice, non è soltanto consigliere giuridico: è anche un'istituzione che, per la sua collocazione istituzionale e la sua composizione, può - e dunque deve, perché ogni potere è una responsabilità - illuminare e nutrire il dibattito pubblico per permettere ai responsabili pubblici di decidere con cognizione di causa".
Sulla base di questa visione, il Consiglio di Stato ha prodotto un testo straordinario per la capacità di tenere insieme l'ispirazione delle policy sciences of democracy, le esigenze metodologiche, etiche e politiche richieste dalla valutazione e i problemi giuridici e tecnici generati dall'istituzionalizzazione di questo strumento di conoscenza (Conseil d’État, 2020). E tra ottobre 2019 e giugno 2020 ha organizzato una serie di conferenze che hanno coinvolto non solo le principali istituzioni, ma anche le università e i centri di ricerca.
Nelle esplicite intenzioni dei proponenti, le finalità di questa ampia iniziativa non riguardavano solo l'aggiornamento dei tools of government, ma un vero e proprio ridisegno della gouvernementalité (Regonini 2017) finalizzato a fare della policy evaluation una fondamentale scienza del pubblico, con un preciso impatto sulle relazioni tra potere e sapere:
"L'articolo 24 della Costituzione definisce le missioni che gli (al Parlamento) sono affidate:'Il Parlamento vota la legge. Controlla l'azione del Governo. Valuta le politiche pubbliche'. Queste tre funzioni sono complementari. Non c'è buona legislazione, né un controllo approfondito senza una pertinente valutazione delle politiche pubbliche. Dunque, la valutazione delle politiche pubbliche (..) è la matrice delle due funzioni fondamentali esercitate dal Parlamento" (Conseil d’État, 2020, dall'intervento di Gérard Larcher, presidente del Senato, p. 162)
3.2. L'Italia: l'istituzionalizzazione inesistente
Dopo il sintetico riassunto del caso francese, possiamo dire con certezza che l'"insostenibile arretratezza" (Di Carpegna Brivio 2021) del Parlamento italiano nel campo della valutazione delle politiche pubbliche, che fa del nostro paese l'ultimo dei grandi stati europei con un impianto della governance di tipo ottocentesco, non è colpa di Napoleone e della sua Corte dei Conti, ma riguarda precise responsabilità nazionali. Secondo la stessa autrice, la situazione italiana è il risultato di una serie di occasioni perdute:
- il modo in cui sono state recepite - e travisate - le raccomandazioni dell'OCSE sulla qualità della regolazione;
- la mancanza di attenzione verso le indicazioni che, nei primi anni del secolo, arrivavano dalle Regioni;
- il contorto progetto di revisione costituzionale del 2016;
- l'istituzione e la successiva soppressione dell’Ufficio Valutazione Impatto (UVI) del Senato; In queste poche righe, consideriamo solo le ultime due vicende.
Il progetto di riforma della Costituzione
Nell'aprile 2016 il Parlamento approvava il disegno di legge costituzionale dal titolo "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione". L'art.55 recitava:
"La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo.
Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. (...) Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. (..)".
Apparentemente, la riforma era una buona notizia per chi da anni sosteneva la necessità di rafforzare l'oversight parlamentare con la valutazione delle politiche pubbliche. In realtà, la formulazione oscura e incongruente, molto lontana dalla chiarezza del testo francese, rischiava di innescare una serie di contraddizioni difficilmente sanabili.
Innanzitutto, nella totalità dei paesi con norme analoghe, la valutazione delle amministrazioni e delle politiche è di competenza o dell’intero Parlamento (es: Francia, Usa) o della Camera ‘bassa’, elettiva (es: Gran Bretagna, Austria). Nella riforma italiana, questa funzione sarebbe stata confinata in un ramo del Parlamento, il Senato, privato dei tradizionali poteri di oversight, dato che solo la Camera avrebbe potuto dare e revocare la fiducia al Governo e avrebbe avuto la funzione di controllo sul suo operato. Ma è difficile immaginare una valutazione delle politiche pubbliche che non si sovrapponga, almeno in parte, al controllo sull’operato del Governo. Si pensi anche solo alla richiesta all’esecutivo di dati non di pubblico dominio.
In secondo luogo, l’assegnazione esclusiva al Senato della valutazione delle politiche pubbliche avrebbe reciso il rapporto tra valutazione e lawmaking nel grande campo della legislazione di esclusiva competenza della Camera. Anelli di congiunzione tra scelte legislative e oversight sono, ad esempio, le clausole valutative o le date di 'scadenza' inserite nei testi di legge, per sottoporli a riesame al momento del ‘tramonto’. Sarebbe stato come stabilire che il chirurgo non può chiedere analisi cliniche prima di un intervento.
Infine, l'articolo avrebbe generato l'interruzione della continuità tra stanziare fondi e valutarne l’utilizzazione. Negli altri paesi, infatti, le valutazioni si concludono con raccomandazioni rivolte alle amministrazioni perché migliorino specifici aspetti del loro operato. Queste raccomandazioni sono influenti perché i parlamenti dispongono di una potente leva: la possibilità di punire le amministrazioni inadempienti con un taglio dei fondi e/o delle competenze. L’assegnazione esclusiva al Senato della valutazione delle politiche avrebbe reciso il rapporto tra questa attività e il processo di bilancio, dato che quest'ultimo sarebbe stato di esclusiva competenza della Camera.
Poiché al momento dell'approvazione in Parlamento i voti a favore erano stati inferiori ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, la legge venne sottoposta a referendum il 4 dicembre 2016. La maggioranza dei votanti bocciò la riforma. Da allora, il Parlamento non ha più affrontato il tema delle sue competenze in materia di valutazione delle politiche pubbliche.
Creazione e dissoluzione dell'Ufficio Valutazione Impatto del Senato
L'applicazione della riforma costituzionale francese è stata strettamente monitorata dagli uffici del Parlamento italiano, in particolare al Senato. Tra il 2009 e il 2015, il suo Servizio per la qualità degli atti normativi ha predisposto una serie di dossier che dimostrano una precisa conoscenza del caso francese. Nel 2015, dopo una serie di studi e incontri con la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali, con l’Istituto per la Ricerca Valutativa sulle Politiche Pubbliche (IRVAPP) di Trento, con l'Associazione per lo Sviluppo della Valutazione e l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Asvapp) di Torino e con singoli ricercatori, il Senato organizza un Master di secondo livello in Analisi e valutazione delle politiche pubbliche all'Università Ca' Foscari di Venezia per formare un gruppi di ricercatori in grado di fare la valutazione delle politiche pubbliche in un contesto istituzionale, reclutando gli studenti sia all'interno delle strutture di ricerca del Senato, sia all'esterno, tra giovani laureati. Alla fine del corso, nell'estate 2016, il Senato costituisce l'Ufficio Valutazione Impatto (UVI), guidato dal suo stesso presidente Pietro Grasso:
"L'Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica ha l'obiettivo di diffondere, sviluppare e potenziare la 'cultura della valutazione' dentro il perimetro istituzionale. Realizza analisi d'impatto e di valutazione delle politiche pubbliche. È presieduto dal Presidente Pietro Grasso.
Le sue analisi sono basate su riscontri fattuali dei rischi, dei costi-benefici, dei costi-efficacia delle politiche pubbliche, e rispondono a criteri di validità, concretezza, competenza, imparzialità, trasparenza, chiarezza e comprensibilità. Sono realizzate da un Gruppo di lavoro in analisi e valutazione delle politiche pubbliche, composto da personale del Senato competente ed esperto, e da collaboratori che appartengono a istituzioni note e apprezzate."
Nel primo anno di vita, l’UVI pubblica molte ricerche di analisi e valutazione nei settori del lavoro, della sanità, dell'istruzione e ricerca, delle attività produttive, della giustizia, del fisco, della difesa. I rapporti sono basati su dati aggiornati e i risultati sono presentati in modo chiaro. Il network dei contatti internazionali è molto qualificato. La rassegna delle istituzioni straniere con analoghe funzioni costituisce ancora oggi una base di conoscenza importante.
Nel giugno 2018, la nuova presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati presenta con orgoglio l'UVI alla riunione dell'Associazione dei Senati d'Europa:"Il Senato italiano (...) ha assunto negli ultimi anni importanti iniziative per rafforzare e strutturare la propria capacità di analizzare e valutare le politiche pubbliche, facendo un uso sapiente dell'evidenza scientifica e dei metodi quantitativi più avanzati (...). Ha infatti istituito l'Ufficio valutazione impatto, che mi onoro di presiedere, e che pubblica costantemente sul sito del Senato documenti di analisi e di approfondimento su specifici settori di intervento".
Le qualificate attività dell'UVI hanno creato forti aspettative:"L’auspicio è che, anche attraverso interventi puntuali di riforma del regolamento, in futuro il nuovo Comitato possa operare non solo quale strumento di rafforzamento della capacità documentale e analitica dell’amministrazione del Senato, ma anche quale volano per estendere e rafforzare l’attività di controllo dell’esecutivo nella fase successiva all’entrata in vigore della legge" (Griglio, 2019, p. 220). Ma quando questo articolo viene pubblicato, l'UVI di fatto non esiste più, anche se nelle comparazioni internazionali sulle legislative oversight compare ancora come una delle poche prove dell'intraprendenza del Parlamento italiano (De Vrieze, 2020).
Inutile cercare nelle pagine del Senato una qualunque spiegazione dell'estinzione. Qualche informazione in più emerge dagli Annuari dell' Osservatorio sull’Analisi di Impatto della Regolazione (Osservatorio AIR):"Le pagine web dell’Ufficio, anche a causa di questa stasi, danno complessivamente l’idea di essere ancora sospese tra la XVII legislatura e quella attuale, evidentemente in una fase in cui il modello UVI è soggetto a ripensamento, forse anche per la fragilità della sua fonte istitutiva: un semplice decreto del Presidente del Senato" (Mazzantini e Tafanip, 2020 p. 145). Inoltre, la soluzione 'leggera' adottata per legittimare e strutturare l'avvio dell'UVI, con un Comitato esterno, indipendente tanto dagli organi politici del Senato, quanto dalle sue strutture serventi, se da un lato ha facilitato l'espansione quantitativa e qualitativa delle sue attività, dall'altro ha rivelato la sua fragilità nel momento del passaggio da una legislatura all'altra.
Questo dato rivela l'assoluta sproporzione tra la qualità e l'impegno dei ricercatori e del network che li sosteneva, e il sostegno politico e amministrativo che avrebbe dovuto promuovere la sua istituzionalizzazione formale. Come l'esempio francese dimostra, l'introduzione di una nuova "ontologia" tra le scienze del pubblico è un processo lungo e impegnativo, che richiede il coinvolgimento di molte diverse istituzioni e comunità epistemiche (Regonini, 2012). Senza questa 'riconversione', l'Ufficio Valutazione Impatto non poteva autosostenersi.
3.3. Gli effetti sul Next Generation EU
In Italia, nei documenti che accompagnano la progettazione e l'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il concetto di ‘raggiungimento degli obiettivi’ è declinato solo da due prospettive:
- quella giuridica, per garantire la correttezza formale della spesa ed escludere frodi e corruzione;
- quella di finanza pubblica, per assicurare il rispetto delle scadenze nell'impiego dei fondi, evitando ritardi e diseconomie.
Questi due criteri di progettazione sono assolutamente necessari perché
- sono richiesti con forza dall'Unione Europea
- nella fase iniziale, il loro rispetto permette di avere la ‘provvista’ normativa e finanziaria indispensabile per passare alle fasi successive
- date le estreme carenze italiane rispetto a questi due parametri nei precedenti impieghi dei fondi comunitari, forti vincoli formali e un attento monitoraggio sono decisivi.
Ma sono strumenti di progettazione sufficienti? No, assolutamente. Se il concetto di ‘raggiungimento degli obiettivi’ è declinato solo in base a questi due criteri, le probabilità di ottenere davvero dei risultati che comportino almeno un’attenuazione, se non una soluzione, dei problemi alla base degli interventi sono estremamente basse, data la quasi totale assenza di evidenze, di dati, di indicatori per verificare e valutare l’implementazione, di modelli che permettano di stabilire una qualche relazione tra gli interventi previsti e l'impatto atteso.
Anche in questo caso, un confronto 'spot' con la Francia è illuminante. Infatti i limiti dell’impianto italiano emergono chiaramente persino dalla comparazione di documenti altamente sintetici e standardizzati, quali gli schemi utilizzati dai tecnici della Commissione Europea per verificare il raggiungimento dei milestones e procedere quindi al liquidare ai diversi governi delle rate dei fondi stanziati.
Le due tabelle seguenti riportano i 'verification mechanism' previsti dalla Francia e dall'Italia per una misura nel nostro paese particolarmente controversa: gli incentivi per l'efficientamento energetico degli edifici.
Nello stesso documento italiano, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale compare una novantina di volte quale unico verification mechanism dei risultati rispetto ai diversi obiettivi.
Dunque, sulla base di questa impostazione, il rischio di un esito al di sotto delle aspettative è molto alto, perché il metodo con cui sono state gestite queste prime fasi è esattamente lo stesso alla base del fallimento di altre precedenti riforme, come è stato diagnosticato in molte comparazioni internazionali e dalla stesa Commissione Europea:"La qualità della definizione delle politiche in Italia non è cambiata e gli indicatori evidenziano bassi livelli di utilizzazione delle politiche basate sull’evidenza (..). La valutazione attraverso l’analisi di impatto della regolazione è spesso più formale che sostanziale e basata prevalentemente su indicatori economici” (European Commission, Public administration characteristics and performance in EU28: Italy, 2018, p. 528 https://data.europa.eu/doi/10.2767/100892).
Probabilmente (e sperabilmente), il pericolo non è una ‘chiusura dei rubinetti’ per le restanti erogazioni del PNRR, perché i trasferimenti monetari all’Italia sono too big to fail e l’accordo politico è destinato a prevalere sulle verifiche tecniche. I rischi sono altri, e consistono nella continuazione delle forti distorsioni italiane nel campo delle politiche industriali, energetiche, ambientali, sanitarie, sociali, educative. E, una volta definiti i risultati in termini di leggi pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, anche l'accountability diventa un criterio fuori luogo, soprattutto per provvedimenti votati a larghissima maggioranza.
Ma la conseguenza più grave di questa impostazione è l'impossibilità di imparare dagli errori. Nella logica del pragmatismo di John Dewey, fatta propria dalle policy sciences, gli errori sono eventi preziosi, perché ci consentono di capire la necessità e la direzione dell'apprendimento:
"When we citizens are deprived of our errors, we also lose our capacity for self-correction, for self-improvement by moral development" (Wildavsky, 1979, p. 393).
"In this model, citizens, functionaries, social scientists, and other experts do what they have learned and then learn what they have done" (Lindblom, 1990, p. 219)
Come abbiamo visto, la valutazione delle politiche pubbliche è una prospettiva analitica fondamentale per imparare dagli errori. Senza questo strumento di riflessività, qualunque progetto pubblico si trasforma in un sistema burocratico di organizzazione:"We shall describe as a ‘bureaucratic system of organization’ any system of organization where the feedback process (...) does not function well, and where consequently there cannot be any quick readjustment of the programs of action in view of the errors committed" (Crozier 1964, pp. 186–87).
E' importante sottolineare che per le policy sciences l'apprendimento non è semplicemente un confronto tra il progetto originario e i risultati ottenuti, ma è un esercizio che consente di modificare le stesse preferenze iniziali:“L’implementazione non consiste nell’ottenere quello che in passato si è voluto, ma nell’imparare che cosa preferire, almeno finché non si cambia opinione un’altra volta” (Browne e Wildavsky, 1983, p. 234). In altre parole, l'apprendimento è uno strumento per fare i conti con l'irriducibile complessità delle politiche pubbliche. Per questo, "The role of governance is to surround learning with institutional structures and processes that reduce its errors and exploit its strengths" (March e Olsen, 1995. p. 223). Se, come è accaduto in Italia, questo investimento non è stato fatto, dalle istituzioni possono venire solo sentenze come quella di Mario Draghi citata all'inizio, che acquista significato soltanto passando dall'arena di policy a quella di politics.
4. Conclusioni
Dice Bruno Dente: "If we were quickly forced to abandon our utopian hopes, we nevertheless maintained the idea that modern philosophers had to try to change the world" (2019, p. 19). Rispetto allo specifico obiettivo dell'istituzionalizzazione delle policy sciences, guardando ai risultati appena presentati, è chiaro che la generazione di Bruno, di Luigi Bobbio e mia in Italia ha ampiamente mancato i risultati attesi, nonostante le frequenti interazioni con i decisori pubblici. Il silenzio che ha accompagnato la scomparsa dell'UVI ne è la prova più evidente.
Le cause potrebbero essere attribuite a un contesto decisamente ostile: e su questo ci sarebbero molte pagine da scrivere. Ma è meglio usare le ultime righe per evidenziare due leve che non abbiamo saputo azionare con sufficiente determinazione.
La prima riguarda la capacità di tenere insieme due finalità delle policy sciences che sembrano incompatibili, tanto da generare una specie di 'teorema dell'impossibilità' per questo tipo di conoscenza. Il riferimento è naturalmente al teorema di Kenneth Arrow:"Non ci può essere una costituzione che soddisfa simultaneamente le condizioni della razionalità collettiva, il principio di Pareto, l’indipendenza delle alternative rilevanti e la non dittatorialità". (Arrow 1967, 228). Eppure questo non delegittima le istituzioni democratiche, anche se le loro procedure si basano sulla sistematica violazione di questi principi.
Il 'teorema dell'impossibilità' delle policy sciences è basato sul fatto che non esiste un metodo di ricerca in grado di soddisfare contemporaneamente l'esigenza di una rappresentazione della complessità 'radicale' delle politiche e la capacità di tradursi in useful knowledge per i policy makers e per i cittadini. Per alcuni versi, le due esigenze impossibili da conciliare richiamano la contrapposizione di Wildavsky tra intellectual cogitation e social interaction, tra planning e politics.
E i tentativi di istituzionalizzazione in parte aumentano l'impossibilità, con la loro esigenza di procedure lineari, mentre i processi di policy tendono ad essere circolari; con la tendenza a semplificare le alternative in gioco, quando i problemi sono perversi; con la richiesta di soluzioni evidence based, quando l'interpretazione dei dati ammette molte letture diverse. Come abbiamo visto, dall'interno della disciplina arrivano frequenti richiami ai rischi dell'istituzionalizzazione:
"Wisely or not, a special social science subject labelled policy analysis attends to the needs of functionaries, not of citizens" (Lindblom, 1990, p.189).
"..Once the policy sciences mechanisms became one of the hallmarks of contemporary governmental processes in the United States, their practice has been formidably distanced from their proscribed democratic ideals and origins" (DeLeon, 1997, p. ix)
Eppure, proprio Lasswell, Lindblom, Wildavsky hanno in diversi punti sottolineato l'esigenza pragmatica di raggiungere un qualche epistemological mutual adjustment nelle iniziative intraprese dai policy scientists per cercare di salvare, almeno in parte, l'una e l'altra esigenza:
"The purport of inquiry is not necessarily 'theoretical' rather than 'practical': both manipulative and contemplative standpoints may be adopted" (Lasswell and Kaplan 1950 p. xxv)
"Once a problem is posed, you may attempt to solve it by replacing interaction with cogitation, cogitation with interaction, cogitation with cogitation..." (Wildavsky, 1979, p. 283) "All analysis is incomplete, and all incomplete analysis may fail to grasp what turns out to be critical to good policy. But - and this is a “but” that must be given a prominent seat in the halls of controversy over incrementalism - that means that for complex problems all attempts at synopsis are incomplete. The choice between synopsis and disjointed incrementalism - or between synopsis and any form of strategic analysis - is simply between ill-considered, often accidental incompleteness on one hand, and deliberate, designed incompleteness on the other" (Lindblom, 1979, p. 519)
"If the reader will allow me my preference for two-thirds politics and one-third planning, this hybrid of social interaction and intellectual cogitation may be called policy analysis" (Wildavsky, 1979, p. 124)
In fondo, il concetto di inquiry di Dewey (1927) si basa proprio sulla ricerca di un qualche equilibrio contingente tra queste due esigenze.
Negli altri paesi, l'istituzionalizzazione delle policy sciences non è nata per iniziativa delle istituzioni, ma per l'impegno pubblico delle figure più eminenti dell'epistemic community degli studiosi di politiche pubbliche che hanno seguito la raccomandazione di Lasswell:"The aim is to subordinate the particular interests of a profession to the discovery and encouragement of public interest. This implies direct community participation as well as client service" (Lasswell, 1971, p. 119).
In Italia, questa graduatoria di priorità l'abbiamo predicata molto, ma praticata poco. Per riprendere il binomio con cui Giorgio Freddi (2004) riassume il contributo di Aaron Wildawsky, abbiamo privilegiato di gran lunga la conoscenza scientifica all'impegno civile. E una sommaria rassegna della direzione presa dalle generazioni di studiosi successive alla nostra sembra mostrare uno squilibrio ancora maggiore. Ma è poi possibile, in questo campo, una conoscenza scientifica senza la verifica sul campo? E quali sono i costi sociali dello squilibrio? Come analisti, sappiamo bene che il radicamento istituzionale della valutazione delle politiche pubbliche non lo porta la Befana.
C'è un po' di ironia della storia in questo sviluppo della disciplina che, al suo primo comparire in Italia, nel 1982, era guardata con sospetto, perché considerata una forma di Kathedersozialisten, di socialismo della cattedra (Lindenfeld 1997). Quarant'anni dopo, i timori vanno nella direzione opposta.
La seconda leva che non abbiamo saputo azionare con sufficiente determinazione riguarda l'interdisciplinarietà. Come abbiamo sottolineato in più passaggi, stiamo parlando di un elemento costitutivo delle policy sciences, definite con un sostantivo plurale fin dalla loro nascita:"A policy orientation has been developing that cuts across the existing specializations" (Lasswell, 1951 p 3)
Come è noto, la frammentazione disciplinare è una tendenza trasversale ai diversi campi del sapere, legata al sistema degli incentivi che intervengono nelle progressioni di carriera e nelle assegnazioni dei fondi di ricerca nelle università. Ma questo dato attenua solo in parte la responsabilità della nostra epistemic community. Si pensi alle scarse interazioni persino con l'Associazione Italiana di Valutazione (AIV), fondata nel 1997 per iniziativa di un gruppo di sociologi, con un progetto che, almeno in teoria, mirava non solo all'avanzamento della conoscenza, ma anche al consolidamento della figura professionale del valutatore, attraverso il contributo di competenze esterne all'accademia e di esperienze in stretto contatto con le istituzioni pubbliche. La separazione tra settori disciplinari sembra avere complessivamente indebolito la capacità di 'dire la verità al potere' di entrambi, quanto meno rispetto alle vicende italiane che abbiamo descritto nel paragrafo precedente.
Eppure, oggi più che mai, in Italia come nel resto del mondo, l'interdisciplinarietà non è soltanto molto richiesta, ma è anche molto praticata. Si pensi ai Sustainable Development Goals (SDG) delle Nazioni Unite (Montero e Le Blanc, 2019), alla recente pandemia, all'emergenza climatica (Auld et al, 2021; van den Berg et al 2021). Come è evidente, questi problemi, e le risposte date dai governi, hanno un grande interesse analitico, perché il loro studio potrebbe riscrivere le tradizionali graduatorie sulla qualità della governance. Ma hanno soprattutto un enorme bisogno di usable knowledge e di competenze diverse, ma disponibili a mettersi insieme. Un indicatore delle nuove contaminazioni disciplinari è dato ad esempio dal concetto di environmentality usato, sia pure con significati diversi, da geografi, biologi, climatologi, con riferimento a politiche attuate dal Senegal all'Equador, dal Ghana alla Tailandia e alla Cina. Concludiamo con tre citazioni che riescono a coniugare il riconoscimento della drammaticità delle sfide che abbiamo davanti con una prospettiva di speranza, nello spirito di Rorty e di Dewey:"Hope - the ability to believe that the future will be unspecifiably different from, and unspecifiably freer than, the past - is the condition of growth. That sort of hope was all that Dewey himself offered us, and by offering it he became our century's Philosopher of Democracy" (Rorty 1999, p. 120).
"This, I think, is the most general lesson that can be drawn from the practice of Public Policy Analysis. It teaches us humility and patience. It reminds us that all the solutions we are likely to find are only partial. And that the complexity of modern societies is not something we must be afraid of" (Dente, 2019, p. 29)
"The expertise of policy researchers has potential for the new brave world of big questions that faces us in a post-pandemic future (..) It is a return to the original vision of the founding figures of public policy. We need to reconnect to where we are coming from, and look at the future with more ambition and mindfulness of who we are and how our expertise contributes to the policy process and the quality of governance" (Dunlop e Radaelli 2021, p. 21-22)
"The problems are difficult, but they are not beyond human comprehension and amelioration. It is possible to apply thought to the problems of intelligence, to profit from an understanding of how decisions happen in order to make them happen better. (.. These improvements) do not keep the rain out, but they offer some small basis for imagining that a roof is possible" (March 1994, 271).
Non è molto, ma è abbastanza per andare avanti.
Prof.ssa Gloria Regonini
Professoressa ordinaria di Scienza politica presso l'Università degli Studi di Milano